TACCUINO #17
La nebbia invita a fermarsi. L'attesa si fa obbligo per poter procedere, avanzando per ora solo sulla congettura. Siamo giunti a quel che ci attendeva. Un parallelo ci potrà aiutare ancor più. Troviamo similitudini e differenze se correliamo il narcisista a un'amoeba. Il Volvox Chaos o chaos chaos può essere pensato come struttura cellulare cambiaforma, parassitario. A tutta prima il paragone reggerebbe assumendo la possibile esistenza diretta ad automatismi, processi robotici, si direbbe. Sulla considerazione della mente quale cuore centro di informazioni autoprodotte dai neuroni cardiaci, origine del pensiero che veicola tali informazioni al filtro deputato alle elaborazioni (il cervello), sulla spinta del thumos (impatto aria sangue), sosteniamo la differenza in cellule ben formate tra (nell'esempio) il biologico parassita unicellulare e il perverso narciso. Mentre il primo sembra denoti un equilibrio, il secondo organismo è formante formata forma mancante. L'amoeba vive una direzione certa in sopravvivenza tramite assorbimento di sostanze nutritive utili, parrebbe in mancanza di consapevolezza, ovviamente così umanamente intesa. Anche qui è possibile un esame utile all'indagine. Il perverso risulterebbe manchevole della cosiddetta consapevolezza e manchevole di carattere, che sosteniamo sia il determinativo di trasporto del significato pregno di individualità e identità, e ciò che può e viene modificato giacché modificabile. Il cosiddetto tipo è cosa lontana dalla personalità, che partecipa della materia, della sostanza; a motivo del sociale indotto attraverso la società possiamo spiegare il tal formarsi. Tra i parassiti della società umana, il grave rischio della caduta nel mondo del cosiddetto narcisista maligno è, drammaticamente sfortunatamente, di forte interesse nel panorama di declino e pericolosità massima.
Or bene, noi conosciamo perfettamente il volto, il nome, il mostro senza sangue, la virulenza, il corpo senza mondo, il buio senza stelle.
Ogni mostro è, dopotutto, debole e molle alla vita, tant'è che il sordido lubrico non manca rimarchevoli dimostrazioni a ogni nauseante respiro. Non ci si aspetti confessione dai raccapriccianti non ben formati. Non ci si aspetti forza vitale dall'ultimo carnefice.
Vi è inadeguatezza ancora. Possiamo stupirci?
In un mondo ove un certo Saulo, o complici, devono aver calpestato il corpo del defunto uomo, fornendo sempre più materiale per una visione metafisica sconcertante che daccapo ha dato forza e vigore a illusioni che perdurano, abbeverando greggi con la parola religiosa, di che cosa ancora ci si lamenta? Un massacro compiuto sui più, superstiti al più lontano diritto naturale che non hanno dimostrato di non voler sentir parlare quel di Tarso un'altra volta. Ma un giorno ci si potrà sempre difendere asserendo che nella ad arte finzione è tutto palesato. Gli stolti credono. Gli stolti negano. Soltanto chi vede, sa.
Possiamo oggi confermare che stiamo vivendo lontani dal nulla, liberi dalla condanna, formati uomo nuovo, rinati sangue vero vivente? Possiamo noi, che incarniamo abominio quando diciamo amo i miei figli, amo i miei genitori, amo i miei fratelli, inconsapevoli di kama, poichè così istruiti e non educati, poichè voluti poveri, deboli, sordi, ciechi, disgregati da verbo e azione e da azione e verbo, inutilizzati dal proprio essere per servizio positivo? «Si condanni l'utilitarismo costruito sulle illusioni! Si ponga al vaglio l'uomo liquido che vive un nulla più grande del nulla di sé!»
L'ultimo corpo ha sepolto la potenza di una rappresentazione viva in tʂʼanə wəzbjan, il ti vedo bene dell'ergativa ubykh, in luogo di "ti amo". Quanto più del fenomeno di sana concretezza cade su tutti i livelli empatici nell'espressione sonora di prossimità, che legge il mondo per vicinanza e non include l'io? Alcune lingue sembrano ben spiegare che io non esisto, e io non esiste. Solo colui che guarda oggetti ed è il ladro di vite, l'amoeba senza sangue, incarna l'io nel mondo privo di bios.
Nota. Dimenticare il costruito io per ridiventare se stessi e scoprirsi essere. Distruggere l’io, esempio delle fallaci illusioni.
L'occhio guarda il fenomeno, ma lo vede? Non è forse il latino che ha cullato indegnamente plasmando l'a - mors? Questo vien tramandato. Questo il possibile piano tarsino. Quindi il viscerale sanscrito ka, radice di concreta materia, cadrebbe inevitabilmente in un pericolo sotteso, spingendo per pulsione l'uomo al desiderare la non morte, e credendo che l'illusione sia salvezza.
«Ma siamo morti! Percorriamo un cammino di morte! Che cosa è vita senza uomo? Quando si vive? Quando si è vissuto? Cosa vivrà?»
L'uomo si è disgiunto ed è diventato il pane caro a molti che in un dato ambiente viene cotto nel determinativo dissociazione. Uccidendo l'uomo, l'essere che oggi riveste ruolo di mortale su suolo antico si è separato dal ruolo naturale. Il giapponese kama è uno strumento da taglio, separa, divide: è un'arma ancidiale. Ma non è il Dibbuk ebraico a dividere?
Non stiamo indicando sempre qualcosa che, attraverso riti, metafore, illusioni, dicerie, credenze, lingue, storie, mondi, determinativi, appositivi, ha ragion d'esser incancellabile, giacché è il nuovo essere liquido che non ha memoria e non impara da alcuna dimostrazione? Se l'uomo un tempo fu libero da illusioni, è il liquido l'invaso che non può ritornare a essere.
La chimica sembrerebbe indicare la costante di dissociazione acida nel simbolo Ka. Se la dissociazione fosse il percorso per giungere all'equilibrio?
Sul ritorno al sanscrito è più spaventoso scivolare sulla traduzione tuonare. Non può non portarci a pensieri di roboanti frastuoni che par separino i cieli. Tuonare, amare, è il limite, oltre il quale è svelato ciò che siamo. È noto, sempre sia così, che i latini discussero di sentimento animalesco osservando brama e desiderio sessuale. L'amore quale malattia riduce la forza del mortale che incarna violenza, patimento, male. Mātr indica il sacrificio, il rendere sacro, separato, má-H₂ter-. «Non è evidente?».
In un panorama ove è ben intender sicura la certezza del dubbio, la personalità perversa, il narciso, è il fondo informe che assume forma inadatta del non essere, il separato, che incarna hummus, da humare, seppellire. Si trae il nome noto: hominem appellari quia sit humo natus. Ciò spiega perché sia più chiaro il partoriente morte che andiamo sempre più vedendo chiaramente, l'incontro che nessuno deve mai fare, il caduto nel mondo che non sarebbe mai dovuto nascere. Chi l'hummus doveva, dovrebbe e dovrà abitare, ma fa abitare.
Ma che cosa può fare una sola vox clamantis in deserto?
Kāmas tad agre sam avartatādhi manaso retaḥ prathamaṃ yad āsīt / sato bandhum asati nir avindan hṛdi pratīṣyā kavayo manīṣā.
All’inizio sorse poi l’Amore, che era il primo seme della mente. Scrutando nei loro cuori i sapienti scoprirono, con la loro saggezza, il legame tra l’essere e il non essere.
Ecco il germe che sviluppa una lenta inesorabile corsa nei pressi di una compagna che ti dorme sempre accanto. Dotata di scure, facendosi strada per facilitarti l'eliminazione del superfluo, in un giorno, un tempo, un momento, quando tutti sono stati e tutti arderanno del bramoso desiderio di saper morto il mostro, come lo studente che uccide la vecchia usuraia e il fratello che termina il padre, ti raggiungerà per svelare il saputo consegnandoti il messaggio che conservava, che non vedevi.
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