“Il pensiero è una ferita. E il cuore, il coltello”.
PREMESSA PER IL LETTORE INIZIALE — _Per chi legge PsykoSapiens per la prima volta_
> _“Questo non è un testo. È un taglio”._
Questo taccuino non è una teoria. Non è una poesia. Non è un trattato.
È un organismo. Un sintomo. Un atto di resistenza epistemica.
Qui non troverete concetti comodi, né certezze riformulate.
Non troverete “cosa pensare”, ma forse scoprirete che cos'è che vi pensa.
PsykoSapiens è un progetto filosofico-scientifico che rifiuta la dicotomia mente-corpo,
che smonta il lógos come feticcio,
che restituisce al cuore – al caos, alla carne, al trauma –
il diritto di dire, di sapere, di essere l’inizio del pensiero.
La visione qui esposta non è spiritualista né simbolica:
è biofisica, neurocardiaca, termodinamica.
Ma parla con voce lirica, perché la scienza che non canta è già morta.
Questo lavoro è per chi ha perso ogni certezza e ancora cerca il battito.
Per chi ha conosciuto la vertigine, la frattura, l'incomprensibile.
Per chi non si accontenta di capire.
Ma vuole sentire.
Qui si scende. Ma si discende per riconoscersi.
Introduzione
Il presente lavoro si propone di riconsiderare la struttura della razionalità attraverso una prospettiva biologico-filosofica che integra il ruolo del sistema cardiaco nell'evoluzione del pensiero. La tradizione (o meglio le tradizioni) ha per lungo tempo definito la ragione come il principio ordinatore della realtà cognitiva, postulando una separazione tra intelletto e sensibilità. Tuttavia, questa concezione risulta insufficiente a spiegare l'origine pre-discorsiva dell'intellezione e la sua radicazione nei processi biochimici e neurofisiologici dell'organismo umano.
Questo taccuino esplora la tesi secondo cui la razionalità non è un dato primario, bensì un prodotto emergente di un'attività pulsionale pre-logica, riconducibile ai neuroni cardiaci e alla loro interazione con il sistema nervoso centrale. Si propone quindi una teoria unificata del pensiero che riconosce nel cuore il punto di partenza di un'intellezione non ancora formalizzata, il pensiero non pensato, che precede ogni costruzione logica e discorsiva.
Prefazione
L'uomo costruisce l'inganno del lògos per giustificare l'ordine cosmico e l'assoluto che pretende di creare e ordina tutto. Pensiamo - invece - si debba pensare, sentire e parlare di caos cosmico, mai di ordine cosmico.
Così il cosiddetto narcisista risulta essere non ente giacché carnefice della vita stessa e anti forza, negazione del fuoco, agitatore debole dell'imperturbabile potenza.
«Ma il debole per natura non vede l'ira, l'aggressività psichica, la forza, la rabbia sana, il moto che del sangue per linea muove a ragione sul cammin del corretto agir, pulsando visceral sentir».
La natura dell'abisso, genera l'abisso del nulla del tangibile sentire viscerale.
Capitolo I: La Razionalità e i Suoi Limiti
1.1. La ragione come principio ordinatore
Sull’Errore Aristotelico (e sui suoi figli ciechi)
Il tal Aristotele — o i suoi fantasmi:
scolari, discepoli, striscianti esegeti,
chierici del pensiero impagliato —
eresse una piramide con lógos in cima,
tronfio, sbandierato,
a dominare come tiranno l’intellezione umana.
Plasmò il lógos in forma rigida,
una gabbia di marmo per il fluido dell’essere,
una grata sistematica sull’informe,
un lucido riflesso
della sua stessa mediocrità.
Eppure — paradosso dei grandi ciechi —
nel tentativo di ordinare il mondo
scoprì, forse a sua insaputa,
la meraviglia:
quella che già serpeggiava
prima che la filosofia si desse un nome.
Divise l’anima, come un macellaio d’anatomie sottili:
vegetativa, sensitiva, appetitiva, razionale.
Diede il trono alla razionale,
la incoronò regina del pensiero,
assioma attivo, etereo,
che doveva guidare, classificare, ridurre.
Causare. Dedurre.
E nel farlo . . .
trasformò il reale in un algoritmo.
Per tener su quel castello?
Fu costretto a tirare fuori un dio.
Un dio muto.
Che non dimostra, non risponde,
ma serve a giustificare il trucco della tenda:
l’illusione di un sapere fondato.
L’intelletto potenziale —
lui sì, danza vicino
al pensiero non pensato.
Mentre la razionalità siede pesante
sul trono del pensiero pensato.
E il calcolo?
È solo una reazione,
una spinta tossica,
non un’origine.
L’ambiente — il vero scultore —
scolpisce sinapsi,
modella vie viscerali.
E così le “facoltà cognitive”
sono più fermento che formula,
più fumo che fondamento.
E allora?
Intelligere è facoltà universale?
O è dono sporadico,
elargito a pochi esseri ostinati?
Se non tutti possono scegliere,
non è la libertà a morire —
è la sua pretesa.
Il castello delle infinite possibilità crolla.
Ma quel crollo è rivelazione.
Mostra i mille sentieri del nous.
Mostra che il pensiero è partecipato.
Non centralizzato.
Non monarca.
Ma sciame.
Forse
ci manca
proprio la patologia della mancanza.
Forse
è phatos a metterci in marcia.
Se partiamo dal nous,
al nous ritorniamo.
Attraversando diánoia,
strisciando nella dianoetica,
tornando, sempre,
al fuoco che non si spegne.
E io? Conosco?
O recito il copione del conoscere?
Anche Aristotele, anche il tal Kant,
quella compagnia di teatranti,
hanno agghindato il nous con veli divini,
semi-divini,
trinitari.
E la teologia?
Ha rubato l’intelletto,
l’ha chiamato dono,
l’ha sigillato nello Spirito.
Ma il cuore e la mente
non sono due.
E ciò che chiamano divino
appartiene,
da sempre,
a questo corpo molle
e feroce
che chiamiamo uomo.
1.2. La fallacia della supremazia razionale. L’Ultimo Metafisico e l’Inganno della Ragione Sovrana