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  • Immagine del redattore: PsykoSapiens
    PsykoSapiens
  • 1 giorno fa
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TACCUINO #88


Ogni moralità è un sedativo contro il battito del nulla sotto pelle.




«Ancor qui? Lo vedi?


Se non sei pronto a guardar dentro, chiudi ora».


L'esistenza non si lascia dissezionare senza una contropartita di sangue. Ogni tentativo di afferrarla, di nominarla, è un compromesso che la tradisce. Non v'è sostanza che si conceda intera alla parola, né pensiero che non sia già una rovina della materia. Eppure, l'uomo insiste nel credersi l'eccezione: il punto che osserva la linea e la crede retta.


Noi siamo quello che osserviamo. E osserviamo ciò che ci sfugge.


Il crimine più grande della specie non è l'omicidio, ma la cristallizzazione. L'atto di fissare il flusso, di murare l'irreversibile in concetti, di prendere il divenire per la gola e costringerlo in una forma. L'uomo non si accontenta di essere, deve tradursi. Così facendo, si estirpa.


Vi è un'agonia nel pensiero, una pulsione che lo spinge a negare se stesso per esistere. E vi è un orrore nella realtà: essa non ha volto, non ha etica, non ha giudizio. L'ordine che vi proiettiamo è un riflesso del nostro sgomento. Nulla è stato creato per noi, nulla ci attende, nulla ci deve risposte. Noi siamo il caso che si interroga.


Ogni struttura di senso è una forca eretta per domare il caos. Ogni moralità, un sedativo somministrato per paura di sentire il nulla pulsare sotto la pelle. L'unico atto di onestà è il riconoscimento della ferita: noi non siamo. Siamo il tentativo di esserlo.

E la vertigine più alta è accettare di non dover cadere in nessuna direzione.


L'esistenza non si lascia dissezionare senza una contropartita di sangue. Ogni tentativo di afferrarla, di nominarla, è un compromesso che la tradisce. Non v'è sostanza che si conceda intera alla parola, né pensiero che non sia già una rovina della materia. Il linguaggio è un'imboscata: cattura, contorna, chiude. Eppure, l'uomo insiste nel credersi l'eccezione: il punto che osserva la linea e la crede retta, il frammento che immagina di contenere il tutto. La sua arroganza è il suo annichilimento.


Noi siamo quello che osserviamo. E osserviamo ciò che ci sfugge. Siamo i ciechi di fronte alla trasparenza, i sordi dinanzi alla vibrazione. Il nostro occhio è una lente deformante, il nostro pensiero un fardello che satura il vuoto con risposte che nessuno ha chiesto. Ci illudiamo che l'universo si specchi in noi, ma siamo noi a specchiarci in lui, proiettando forme su un fondo che non ne ha.


Il crimine più grande della specie non è l'omicidio, ma la cristallizzazione. L'atto di fissare il flusso, di murare l'irreversibile in concetti, di prendere il divenire per la gola e costringerlo in una forma. L'uomo non si accontenta di essere, deve tradursi. Così facendo, si estirpa. La sua paura del caos lo spinge a costruire impalcature di significato, a imbalsamare il tempo nel dogma, a blindare il possibile in una sequenza di sentieri obbligati. Eppure, tutto si sfalda. Ogni struttura crolla sotto il proprio peso, ogni verità è un sudario che copre il cadavere dell’ignoto.


Vi è un'agonia nel pensiero, una pulsione che lo spinge a negare se stesso per esistere. E vi è un orrore nella realtà: essa non ha volto, non ha etica, non ha giudizio. L'ordine che vi proiettiamo è un riflesso del nostro sgomento. Nulla è stato creato per noi, nulla ci attende, nulla ci deve risposte. Noi siamo il caso che si interroga. La mente si torce per trovare un senso laddove v’è solo accadere, si dibatte contro la propria finitezza, cerca appigli nel buio. E nel farlo, si lacera. Pensare è una ferita che si infligge alla carne dell’indicibile, un’abrasione continua contro il limite dell’indefinito.


Ogni struttura di senso è una forca eretta per domare il caos. Ogni moralità, un sedativo somministrato per paura di sentire il nulla pulsare sotto la pelle. Ci siamo imposti leggi come steccati in un deserto, abbiamo disegnato confini sul vento. Poi, abbiamo tracciato nuove leggi come steccati nel vento: il deserto risultò già troppo coerente. L'unico atto di onestà è il riconoscimento della ferita: noi non siamo. Siamo il tentativo di esserlo. Un'ombra che si dibatte per diventare corpo, un grumo di carne che vuole essere eterno. Ma non v'è eternità che ci contempli, né destino che ci legga. Siamo lo spasmo di un istante, l’urto di un’onda contro una riva che non esiste.


E la vertigine più alta è accettare di non dover cadere in nessuna direzione. Di restare, sospesi, tra il battito e il dissolvimento. Per scelta. Volontà, non voglia. Di forza. Con forza, per forza.


«La volontà non cerca piacere, non cerca desiderio, muove da determinazione».


«La volontà è spinta cieca. Non brama. Non trattiene. Incede».

 
 
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