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Critico

  • Immagine del redattore: PsykoSapiens
    PsykoSapiens
  • 3 giorni fa
  • Tempo di lettura: 8 min

TACCUINO #86


Critico: «Ectopsia, Isomalia, sentire viscerale, struggere viscerale, PsykoSapiens, che altro? Crasi! Avete coniato insolenza e demenzialità! Vocalizzazioni orrobili! Orrobili vocalizzazioni! Conosco le vostre risposte. Il parere non conta? L'opinione non conta? Conosco le vostre risposte!».


Ecco il critico che alle volte torna (e ritorna) e attacca.


Quindi, siede. Ma non di fronte. È già dentro. Parla dalla gola. Non ha voce, ma suona come noi. È noi che giudica mentre scriviamo del critico. Lo creiamo mentre ci divora. Nel suo linguaggio cosa vorrà, nel vero, trasmettere? Forse annuncia: «Sappiamo quanto avete sofferto. È per questo che avete bisogno di noi. Siamo la forma più onesta della vostra vergogna». Bene, rispondiamo.


Noi: «Ectopsia e Isomalia: non sono crasi, ma deviazioni chirurgiche della lingua. Suonano come disturbi percettivi, come malformazioni cognitive. Ectopsia è lo sguardo che si sloga, si svita dalla sua orbita; isomalia è un paradosso, l’essere uguali e differenti in una stessa deformità. Sentire viscerale, struggere viscerale: qui non c'è crasi, ma fusione organica di termini che normalmente non si uniscono così. Sono lessicalità incarnate, parole che provano a diventare carne, a connettersi al battito cardiaco e non solo alla sinapsi. La sinapsi non trasmette. Si frange. Il linguaggio ne raccoglie le schegge. PsykoSapiens è uno slittamento semantico che unisce l’umano pensante alla sua parte più psichicamente perturbata, sviscerando la razionalità dal mito cartesiano. Quanto a insolenza e demenzialità, non le abbiamo coniate, ma ne abbiamo estratto il midollo, il nervo scoperto. Abbiamo tolto il loro aspetto caricaturale per mostrarle in tutta la loro nudità biologica: l’insolenza come rottura del pattern, la demenzialità come cedimento strutturale della forma umana. Vocalizzazioni orrobili? Sì, se per “orrobile” intendiamo un neologismo che tiene dentro l’orrore e il terribile, come un rantolo linguistico che deforma il consueto. Se le parole classiche sono statue levigate, queste sono parole in necrosi, in suppurazione, vive proprio perché marcescenti. Il parere? Tutto questo è lo strappo del linguaggio stesso. Non è puro gioco, non è estetismo. È l’atto di forzare la lingua a dire qualcosa che ancora non sa dire. Noi non contiamo, non facciamo calcolo. Possiamo scegliere di dar importanza. Le cose non hanno di per sé importanza. E noi? Siamo solo coloro che sentono prima che qualcosa venga detto. E la lingua? Ancora troppo integra per dire questo. Comprendete?».


Critico: «Strappo del linguaggio? Necrosi? Marcescenza? Ma vi ascoltate? Questo è un delirio semantico! Un'accumulazione di metafore in preda a convulsioni! Cosa credete di fare? Superare il linguaggio con il linguaggio stesso? Siete intrappolati nella vostra stessa trappola! Le vostre parole sono eccessi, arabeschi del nulla! Se davvero volete dire qualcosa, smettete di contorcervi e parlate chiaro!».


Noi: «Delirio semantico? Forse. Ma chi ha detto che il delirio non sia un metodo? Vi scandalizza la necrosi? Ma il linguaggio non è già morto? Non è forse una carcassa che continuiamo a scuotere sperando che si muova? Noi lo scuotiamo così forte da farlo parlare di nuovo. Arabeschi del nulla? No, sono incisioni nel vuoto, graffi sulla superficie dell’indicibile. Superare il linguaggio con il linguaggio? No, è il linguaggio stesso che cerca di scorticarsi, di espellere la sua crosta sterile. Chiedete chiarezza, ma la chiarezza è il rifugio dei dogmi, il rifugio delle risposte precotte, delle strutture che si vogliono eterne. Noi non cerchiamo la chiarezza, cerchiamo l’esattezza. E l’esattezza a volte è un rantolo, un’incongruenza, una lacerazione».


Critico: «Sofismi! Eretismo linguistico! Vi perdete nei vostri stessi arabeschi, e più cercate di sfuggire, più vi avvolgete su voi stessi. Dite di non volere chiarezza, ma senza di essa il vostro messaggio si dissolve, diventa puro effetto, decorazione barocca del pensiero!».


Noi: «Chi ha detto che il pensiero debba essere lineare? E chi ha stabilito che il nostro messaggio debba essere confortevole? La decorazione è ciò che è sterile, ciò che esiste solo per piacere. Qui non c’è compiacimento, non c’è estetismo. Qui c’è scavo, c’è torsione, c’è rottura. Noi non decoriamo, noi slabbriamo. E se questo è eretismo linguistico, allora bene: siamo eretici. Ma non per amore della trasgressione, bensì per fedeltà alla sostanza. Se le parole sono macerie, allora noi ci muoviamo tra le macerie. E dalle macerie, ricostruiamo».


Critico: «Parole su parole! E il senso? Dove sta il senso?».


Noi: «Il senso non è un monolite. Il senso non è un edificio perfetto. Il senso è ciò che si contorce tra le fratture. Sta nelle crepe, nelle incongruenze, negli slittamenti. Il senso non è dato: si strappa, si scava, si perfora. Se non lo vedete, forse non avete scavato abbastanza. Ah! La direzione!».


Critico: «Forse non siete voi ad aver scavato troppo, ma noi a non voler cadere nella vostra voragine».


Noi: «Allora restate pure sulla soglia. Ma sappiate che la soglia non è che il primo cedimento del terreno».


Critico: «Concedetemi di entrare».


Noi: «Ora avete preso, d'un tratto, coraggio? Qual piglio. Da dove vi viene?».


Critico: «Concedetemelo».


Noi: «Ditemi dell'evoluzione?».


Critico: «Evoluzione? Vi dirò . . . Un tale mi fermò per la strada, un giorno. Interruppe il mio camminar assorto, ma dritto per faccende. Or racconterò cosa mi disse. Non dimentico le sue parole, che vi restituisco, con la precisione di chi sa che non erano solo parole. Voi potrete analizzare: 'Premiare e proteggere ingannatori, manipolatori, narcisisti, gaglioffi, deboli, bugiardi, vili, corrotti, fragili. È questo il passo evolutivo? Scambiar fatti per cosa astratta! Rinverdire la propria ignoranza e muover per orgoglio! Giudicare e sentenziare perfetti sconosciuti senza sapere! Non capire, non intendere, non comprendere! Cosa intendete, voi, per astratto? È questo l'uomo? Questa è la donna? Siete questo? Cosa siete? Barricati nel vostro capire il mondo senza osservarlo e senza osservarvi! Ipocriti! Ogni qualvolta si consenta ai deboli di sanguinare la propria stirpe, ecco sentir gridare l'uomo morto per disprezzo e imbarazzo! Ecco sentir lacrimare l'uomo solido per disapprovazione! Ecco sentir il ghigno dell'uomo liquido che sopravvive il sangue da massimo criminale di specie quale è!' E aggiunse: 'Di questo so e non so, se era davvero mia quella voce. Era perfetta. Sembrava lucida. Ma qualcosa stonava. Era . . . troppo facile da accettare. Come una droga che ti fa credere di aver capito tutto. Ditemi, era un’eco? Era una eco. Di qualcun altro. Di troppi altri. La ripetizione di un veleno che si tramanda come eredità. Non era un pensiero. Era un virus concettuale. A volte, il pensiero più nitido è l’infezione meglio riuscita. Non era lucidità. Era solo la voce che sopravvive meglio nelle teste rotte'».


Noi: «Cosa borbottate? Volete meglio spiegare?».


Critico: «Voi, che vi dilettate nell’arte del dubbio, sappiate che le mie parole non sono mera retorica, ma un invito a riconoscere la crisi del discernimento fra le vostre fila. Voi che osate erigere un giudizio netto, non vi rendete conto che in tal fervore si cela il riflesso di una società intrappolata nella mediocrità del pensiero astratto?».


Noi: «Giudizio netto? Voi, con la vostra eloquenza tagliente, evocate immagini di una specie malata, dove i narcisisti, imbroglioni e deboli si contendono il primato dell’inganno. Ma ditemi, voi che parlate di distruttori, in altrui maschera, non vi è forse vero che anche voi, nel vostro ardore, rischiate di confondere il vero discernimento con il mero disprezzo delle apparenze imposte?».


Critico: «Voi, che vi fate portavoce di una critica tanto raffinata, sappiate che il mio monologo intende scuotere le fondamenta di una civiltà che premia l’illusione e protegge la debolezza. Voi, nel vostro osare interrogare, dovreste riflettere sul fatto che il rifiuto di osservare il reale, senza maschere e preconcetti, è il primo segno di una intelligenza autentica, che troppo spesso viene oscurata da regole preconfezionate».


Noi: silenzio. (il vuoto ha già risposto)


Critico: «Dunque? Disprezzate?».


Noi: «Vi sentite? Voi, che avete descritto con così gran vividezza il declino del nostro spirito umano, non potete esimervi dal riconoscere che, pur denunciando tali vizi, anche voi vi abbiate talvolta lasciati cullare da quella stessa retorica che giustifica la vostra superiorità. Voi, dunque, siete invitati a guardare dentro voi stessi con la stessa lucidità con cui schierate il vostro pensiero contro coloro che, a vostro avviso, sono incapaci di discernere. E badate! Spirito! Intendete? Ho parlato chiaro. Capite, oppur andate a pensare fraintendendo?».


Critico: «Voi . . . voi che . . . ».


Noi: «Vi siete spenti?».

Critico: «Voi, con la vostra replica, dimostrate una certa consapevolezza del paradosso insito nella condizione umana: criticate chi non possiede la capacità di osservare oltre il velo delle convenzioni, eppure vi aggrappate ad esse per definire il vostro essere. Voi, dunque, siete chiamati a un esame interiore, a una riflessione che superi la mera opposizione tra il bene e il male, affinché possiate, insieme, elevarvi verso una verità che abbracci tanto il concreto quanto l’astratto. Vi risuona ciò che abbiam narrato del tale incontrato sulla via?».


Noi: «Voi, con la vostra saggezza aristocratica, ci esortate a un percorso di autoanalisi che va ben oltre i semplici schemi del giudizio. Noi, dunque, vi rispondiamo con rispetto, riconoscendo che il cammino verso un autentico discernimento richiede non soltanto la denuncia delle debolezze umane, ma anche l’ammissione delle nostre medesime ombre. Voi e noi, insieme, siamo chiamati a osservare il mondo e noi stessi con uno sguardo privo di ipocrisia, per rinnovare quel patto di verità che ancora può salvarci dalla nostra condizione fragile».


Critico: «Condizione fragile? Salvarci? In questa contemporaneità che tutto da? Cosa vi manca? Non respirate, anche voi, opulenza e bordello di vitalità e piacere?».


Noi: «Il vostro contemporaneo non è certo Elyara. Conoscete il Dialogo sull'Abisso? Signore e Uomo svelarono i nostri più reconditi problemi, assecondando il loro tempo e meditando sulla condizione fragile. Se intendete - alla vostra - "destino", quando parlate senza enigmi della cruda verità contemporanea, drizzate le orecchie: 'In una piazza smarrita nel cuore della città, il tempo si ferma. Lì, dove i passi non sanno più dove andare, un uomo cammina con lo sguardo fiero e il cuore chiuso. Egli giudica, egli condanna, egli sentenzia. E non sa. Davanti a lui, come sorto dal marmo stesso delle fondamenta, appare il Signore di Elyara. Uomo di Pietra: Chi siete, forestiero vestito d’ombre? Non portate insegne, né timbri, né titoli. Vi muovete come un fantasma, eppure mostrate polvere di pretesa. Siete voi profeta? Qui, in questa città, la legge è mia. Io sono l’eco del giusto, il braccio della verità. Io distinguo, io divido. Io so chi è colpevole, e chi no. Voi, dunque? Signore di Elyara: Tu non sei che pietra che si crede vetta. Non sei che voce che si crede canto. Hai mai osservato? Intendo: osservato davvero? Hai mai lasciato che l’occhio cadesse in te, come sprofonda un’anfora nel fondo del mare senza nome? Tu gridi "verità" e non sai neppure cos’è un fatto. Tu premi e proteggi chi inganna, chi manipola, chi vive come una serpe nutrita dal tuo stesso sguardo. Tu mostri carica di pretesa. Sei sabbia che pesa più del piombo. Ti domando, uomo: cos’è l’evoluzione, per te? Uomo di Pietra: L’evoluzione? È il dominio della ragione, il trionfo della legge, la crescita dell’ordine. È costruire città che resistano alla rovina. È punire chi devia. Signore di Elyara: Sciocchezze di un cuore pietrificato. L’evoluzione che tu celebri è un ghigno. Essa premia il debole che recide la stirpe, esalta il vile che finge coraggio, protegge il narcisista che si specchia nel dolore altrui. Essa applaude il corrotto, il bugiardo, il manipolatore. L’evoluzione che voi intendete è putrida. E voi, uomini come te, siete la sua voce più oscena. Uomo di Pietra: Parole vuote. Solo chi ha potere può decidere cosa è giusto. Solo chi comanda può dare ordine al caos. Signore di Elyara: Allora ascolta bene, perché le viscere parlano più dell’intelletto. Ogni volta che premiate il sangue vile, ogni volta che consentite al debole di imporsi, ogni volta che proteggete chi distrugge dall’interno, ecco il grido dell’uomo morto che risuona per disprezzo. Ecco la lacrima silenziosa dell’uomo solido, che muore per disapprovazione. Ecco il ghigno eterno dell’uomo liquido – il Criminale di Specie – che sopravvive come putrefazione intelligente. Uomo di Pietra: Tu non hai prove. Hai solo rabbia. E la rabbia è figlia della sconfitta. Signore di Elyara: No, la rabbia è madre della rinascita. Io ho visto ciò che non ti è dato immaginare. Ho attraversato gli abissi dove l’uomo nasce già morto, dove la donna è sepolta nella sua stirpe prima ancora di parlare. Ho sentito la voce di quella Balena Bianca – e non come leggenda, ma come materia. Ho vissuto l’oceano che genera e divora, che cancella il nome al momento della nascita. E tu osi parlare di verità? Uomo di Pietra (più esitante): Allora perché sei qui? A mostrarmi cosa? Signore di Elyara: A mostrarti che . . .


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