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PRIMO INCONTRO

Che cosa occorre fare?

Enunciare problematiche attraverso un dialogo che strutturi il principio di una relazione aperta, sincera, onesta, autentica, valida, per intendersi e sviluppare un possibile processo di comprensione. Le fasi iniziali evidenzieranno la primissima possibilità di scelta. Sarà il primo passo utile a capire, indispensabile per fondare il rapporto che porterà crescita.
 
Il latino dialŏgus, il greco antico διάλογος, compongono dià, attraverso, e lògos, (anche) discorso, che tiene a legō, raccogliere. È derivato di διαλέγομαι, conversare, discorrere. Si pensi a un movimento per cui due o più persone si lasciano attraversare dalla parola, da fonemi, da suoni. Un'astrazione che partecipa di un metalivello. Questo moto sarà l'incontro necessario a un rapporto consapevole ove il mio ascolto permetterà di accogliere gli stati d'animo nel più totale rispetto.

GROUNDING VISCERALE

Cosa?

Grounding viscerale non è mindfulness da centro commerciale.


Non è “rilassarsi”, non è “lasciare andare”. È radicarsi nel ventre, nella parte animale, pre-mentale, pre-linguistica, dove pulsa ciò che non ha ancora nome. È il cuore del tuo modo di sentire — e dovrebbe esserci alla base di ogni seduta di counseling psicosociale.
 

Cos'è davvero?


Non è una tecnica. È una discesa.


Un ritorno al corpo originario, alla pancia, ai neuroni enterici e cardiaci.
Lo scopo non è calmarsi, ma percepirsi, nella carne. Essere là dove la mente non ha ancora messo le mani.

È il punto zero, il territorio dove i contenuti psichici sono ancora grezzi, umidi, impastati di sensazione.

«Non curo. Non correggo. Non indico la via.
Accolgo l’altro là dove non sa più essere.
Sto. E nel mio stare, l’altro si trova».

PROBLEMATICHE

Quali problematiche si affrontano?


 
Conflitti


 
Solitudine


 
Abuso Narcisistico


 
Orientamento Sociale


 
Tematiche Esistenzialistiche

 

 

1. Il mio spazio non è neutrale. È incarnato.

​Ricevo l’altro con la mia carne, col mio battito, col mio stesso disordine.

Il mio corpo è presente. Il mio sentire è attivo, non distaccato.

L’empatia non è una posa, è corpo a corpo viscerale.

2. Io ascolto l'inudibile.

Oltre le parole, oltre il tono: ascolto il vuoto, lo strappo, la fessura da cui l’altro esala ciò che nemmeno sa di provare. Io non interpreto: mi lascio impregnare. Poi restituisco, con la mia voce.

 

3. Io onoro la confusione.

Non porto chiarezza. Porto luce sul caos.
Non ho paura del non-senso, perché so che è lì che il senso si sta ancora formando.

 

4. Il mio linguaggio è tagliente e preciso.

 

Rifiuto la retorica, l’auto-aiuto, i mantra da discount dell’anima.
Scelgo parole-strumento, parole-vettori, parole-verità che "feriscono" per guarire nel profondo.

 

5. Io non sono specchio. Sono eco.

 

Non ti rifletto. Ti restituisco il suono grezzo di ciò che sei.
Ti faccio risuonare fino a quando anche tu non senti di nuovo la tua voce originaria.

 

6. Il mio tempo è presente, non produttivo.

 

Non ho obiettivi da raggiungere. Non misuro progressi.
Io custodisco un tempo sospeso, fermo nel respiro viscerale, dove l’altro può riformarsi.

 

7. Io mostro il mostro.

 

Non lo censuro, non lo decoro. Se in te vive l’orrore, lo guardiamo insieme.
Sei anche ciò che temi. E sei intero solo quando ti vedi anche lì.

 

8. Io sono quello che sono.

 

Sbaglio. Sento. Non mi proteggo dietro il ruolo.
Sono una soglia attraversabile, non un muro con un titolo.

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