Inganno
- PsykoSapiens
- 13 gen
- Tempo di lettura: 19 min
Aggiornamento: 23 gen
TACCUINO #44
L'Inganno delle Idee: Dall'Origine dell'Uomo alla Caduta nella Fede
Introduzione: L'abisso come origine e destino
Il pensiero umano è una tensione perpetua tra il viscerale e l'intellettuale, tra ciò che è pre-riflessivo e ciò che si costruisce come narrazione. Questo saggio si propone di sondare come alcune delle idee fondanti delle civiltà – dal tal Paolo di Tarso al tal Platone, dal concetto di famiglia alla cosiddetta fede cristiana – abbiano agito non come strumenti di liberazione, ma come catene che legano l'essere umano a una condizione di alienazione e illusione.
Ma vi è molto, molto di più.
Esploreremo il modo in cui culture arcaiche, culti, testi sacri e filosofie abbiano trasformato l’essenza viscerale dell’uomo in un terreno di manipolazione, giungendo a falsificare persino la morte come condizione esistenziale e inevitabile. Il viaggio che intraprenderemo ci condurrà attraverso strati profondi di pensiero e mito, alla ricerca di crepe da cui possa filtrare una luce nuova e non ancora immaginata.
Questo saggio si ferma sull’orlo di un abisso. Ma è qui che il pensiero può ritrovare la sua forza: non ascendendo a mondi immaginari, ma immergendosi nelle profondità della materia, del sentire viscerale, e dell’essere. Solo accettando l'ombra e la morte come parte della vita possiamo spezzare le catene dell'illusione.
I. Il tal Paolo di Tarso e l'illusione del Messia
1. Il contesto storico e culturale
Forse, nel I secolo dopo l'anno cosiddetto zero, il mondo mediterraneo pare fosse un crogiuolo di culture, lingue e credenze. L’Impero Romano dominava territori vastissimi, imponendo ordine con la forza e, al contempo, assimilando culti locali. In questa cornice, il messaggio ebraico del "messia" – il liberatore promesso – trovò un terreno fertile, non solo come liberazione politica, ma come risposta spirituale e cosmica alle inquietudini dell'epoca.
La tradizione messianica ebraica: fatta radicare nei testi "profetici", il messia era visto come un re-sacerdote, un liberatore che avrebbe restaurato Israele. Tuttavia, questa figura era concreta, legata alla terra e al popolo.
L'incontro con i culti ellenistici e misterici: Mithra, Osiride, Dioniso. Figure divine che muoiono e risorgono, simboli di fertilità e di cicli cosmici. Paolo, cittadino romano e fariseo, si trovò a convergere queste tradizioni in un messaggio che potesse essere universale.
2. Il cristo come "topos" narrativo
Paolo prese il concetto ebraico del messia e lo trasformò. "Cristo" divenne una metafora cosmica, un simbolo di salvezza universale. Il frizionato che unge il Mondo.
La costruzione del simbolo: Cristo morente e risorgente riecheggia i miti di Osiride e Dioniso. Ma Paolo lo incornicia in una narrazione che promette redenzione personale e ordine universale.
Il tradimento dell’essenza viscerale: se il messaggio originale era radicato nella terra e nella storia, Paolo lo sposta nell’eterno e nell’astratto, recidendo ogni legame con la materia e il presente.
3. La manipolazione della paura
Paolo comprese il potere della morte come leva psicologica. Egli promette non la comprensione della morte come parte della vita, ma la sua sconfitta.
La paura della morte come strumento di controllo: promettendo vita eterna, Paolo pose il cristianesimo in netto contrasto con la visione ciclica della vita-morte-rinascita che caratterizzava molti culti antichi.
Il dividi et impera spirituale: la distinzione tra "salvati" e "perduti" crea una frattura ontologica che separa non solo l’individuo dal mondo, ma anche le persone tra loro.
4. Culti solari e influenze indo-iraniche
Non possiamo ignorare l’influenza delle tradizioni indo-iraniche, che portano con sé concetti profondi di luce e ombra, ordine cosmico e dualità.
Mithra e il Sole Invitto: il culto di Mithra, diffuso tra i soldati romani, era incentrato sulla luce che trionfa sulle tenebre. Il Cristo di Paolo eredita simbolicamente questo trionfo.
Zoroastrismo e dualità: sebbene il cristianesimo rinneghi la dualità come sistema filosofico esplicito, essa sopravvive nella dicotomia bene/male, Dio/Satana, luce/tenebra.
Riflessione.
Il cristianesimo non rinnega esplicitamente la dualità come sistema filosofico, ma non la abbraccia nemmeno in senso stretto o sistematico. Piuttosto, la integra e la trasforma attraverso un paradigma teologico che la utilizza come struttura interpretativa, senza mai ridursi pienamente a un dualismo filosofico rigido come quello di tradizioni quali lo zoroastrismo o il manicheismo.
La Dualità nel Cristianesimo e il Suo Superamento
1. Non un Dualismo Ontologico Assoluto
Il cristianesimo classico, in particolare nella sua forma cattolica e ortodossa, respinge un dualismo rigido in cui due principi opposti (bene e male) sono uguali e contrapposti in eterno. Dio è visto come il principio assoluto e unico, e il male non è un'entità indipendente, ma una privazione del bene (privatio boni), secondo la filosofia del tal Agostino.
2. Un Dualismo Funzionale
Tuttavia, il cristianesimo accetta una dualità "pratica" o "esistenziale", per spiegare il conflitto tra grazia e peccato, carne e spirito, terra e cielo. Questa dualità è parte del dramma della salvezza, ma non è ontologica: il conflitto è temporaneo e trova il suo compimento nell’unità escatologica.
3. Il Superamento della Dualità
- L’incarnazione di Cristo è presentata come la risposta ultima alla dualità: Dio e uomo, spirito e carne, eterno e temporale si uniscono nella persona di Giosuè.
- La resurrezione e la redenzione propongono una visione unitaria, in cui tutte le contraddizioni sono risolte nel "nuovo cielo e nuova terra" (Apocalisse 21:1).
4. Critica al Dualismo Filosofico
- Il cristianesimo respinge il dualismo radicale di correnti come il manicheismo, che postula una lotta eterna tra due principi opposti e autonomi (luce e oscurità).
- La Chiesa ha storicamente condannato interpretazioni dualistiche che sfociavano nell’eresia, sottolineando l’unità della creazione e il primato di Dio come fonte di tutto ciò che esiste.
Confronto con il Dualismo Filosofico
Mentre un sistema dualistico filosofico tende a cristallizzare la realtà in una contrapposizione permanente tra opposti, il cristianesimo enfatizza il dinamismo e il fine ultimo della riconciliazione. La dualità nel cristianesimo è sempre subordinata a un progetto teologico di unità finale.
Il cristianesimo non rinnega esplicitamente la dualità come sistema filosofico, ma lo relativizza e lo trascende. La dualità è vista come uno strumento interpretativo temporaneo, non come una verità ultima o fondamento ontologico. Il cristianesimo non è propriamente dualistico, ma piuttosto teleologico, orientato verso un'unità che supera ogni divisione.
Conclusione del primo movimento: L’illusione e la rottura
Il messaggio di Paolo di Tarso non è una trasmissione fedele di un pensiero originario, ma una metamorfosi funzionale al controllo delle masse. Egli converte l’intuizione viscerale dell’essere in una narrazione astratta, promettendo ciò che non può essere mantenuto: il superamento della morte e l’accesso a un ordine eterno.
II. Platone e l'Iperuranio: Il Gravame dell'Idea
1. Platone come ponte tra il viscerale e l'astratto
Platone, come Paolo, è un costruttore di mondi, ma il suo regno non è celeste: è il regno delle Idee. Il tal filosofo ateniese fu tra i primi a teorizzare una realtà trascendente e perfetta, diversa e superiore rispetto al mondo sensibile. Con lui, l’essenza viscerale dell’uomo – il suo rapporto immediato con la realtà – subì una prima, fatale frattura.
Il mito della caverna come inganno originario: il famoso mito suggerisce che il mondo sensibile sia un'ombra del reale. Ma cosa accade quando l’uomo smette di abitare le ombre per inseguire la luce? Si disconnette dalla sua natura e diventa prigioniero di un’idea astratta.
L'iperuranio come gerarchia cosmica: Platone istituisce una gerarchia ontologica: le Idee sono perfette, eterne; il mondo sensibile è imperfetto, mutevole. Questo schema legittima sistemi di potere che separano chi "vede" la verità da chi è condannato alle ombre.
2. Gli universali e la morte della particolarità
La filosofia platonica introduce un concetto devastante per la diversità: quello degli universali. Se ogni cosa è solo una copia imperfetta di un'idea eterna, il valore intrinseco del singolo viene annullato.
La negazione del particolare: l’uomo non è più corpo, istinto, azione, ma un’idea imperfetta da elevare. L’umanità si trova proiettata verso una perfezione irraggiungibile.
Il legame con la religione cristiana: gli universali platonici trovarono una casa nel cristianesimo, che li adottò per costruire un sistema teologico. Dio è l’Idea suprema; il mondo terreno è la sua pallida imitazione.
3. Platone e i legami con i misteri antichi
Nonostante la sua apparenza razionale, il pensiero di Platone ha radici nei culti misterici e nei miti antichi.
I misteri eleusini: Platone era profondamente influenzato dai riti eleusini, che promettevano una rivelazione della verità ultima attraverso un'esperienza mistica. L’iperuranio potrebbe essere letto come una rielaborazione di queste visioni.
Collegamenti con l'Egitto e l'Oriente: Alcuni studiosi suggeriscono che Platone fosse ispirato da idee provenienti dall’Egitto e dalla Mesopotamia. Il suo viaggio in Egitto, sebbene storicamente incerto, potrebbe averlo esposto a concetti di ordine cosmico e dualismo.
4. La presunzione del pensiero
La filosofia platonica inaugura un’epoca di presunzione intellettuale: pensare diventa sinonimo di elevazione, mentre il "sentire" viscerale viene relegato a un ruolo inferiore.
L'erosione del sentire: Platone privilegia la ragione sull’istinto, creando una spaccatura tra corpo e mente. Questo dualismo sarà ereditato e amplificato dalla tradizione occidentale.
Il pensiero come gravame: pensare, nel senso platonico, è un atto che allontana l’uomo dalla sua natura immediata e corporea. È un fardello che lo trascina lontano dalla terra, verso un cielo di illusioni.
III. La trasformazione del rispetto e il dominio dell’ego
1. Il rispetto come maschera sociale
Il concetto di rispetto è stato storicamente inteso come una virtù, ma dietro di esso si cela una maschera che nasconde l’egoismo e la paura.
Rispetto e gerarchia: nelle società antiche, il rispetto era legato alla posizione sociale e alla paura del disonore. Non era un riconoscimento dell’uguaglianza, ma un atto di sottomissione al potere.
L'ego come motore nascosto: dietro ogni gesto di rispetto si nasconde il desiderio di preservare se stessi. Il rispetto diventa una forma di manipolazione, un contratto non detto per evitare conflitti.
2. Il menefreghismo come fallimento del rispetto
Quando il rispetto fallisce, emerge il menefreghismo: una negazione totale dell’altro.
La disgregazione delle relazioni: in una società che non riconosce più valori condivisi, il rispetto si svuota di significato, lasciando spazio all'indifferenza.
Dalla maschera all'assenza: se il rispetto è una maschera, il menefreghismo è il volto nudo della società moderna: privo di legami, freddo, disumano.
Conclusione intermedia: Dalla frattura alla possibilità
Il pensiero di Platone e il messaggio di Paolo hanno creato fratture profonde nell’essere umano, separandolo dalla sua natura viscerale e trasformandolo in un ingranaggio di sistemi ideologici. Ma in queste fratture si intravede anche una possibilità: ogni crepa è un varco verso il reale.
IV. La famiglia come costruzione ideologica e strumento di controllo
1. La genesi dell’idea di famiglia
La famiglia non è un’entità naturale e immutabile, ma una costruzione ideologica che ha subito mutazioni profonde nel corso della storia. Prima di indagare la sua manipolazione, è necessario osservarne le radici.
Le origini tribali: nelle società arcaiche, la famiglia non era un’unità chiusa, ma un nodo in una rete più ampia: il clan, la tribù. Queste strutture erano fondate sul mutuo sostegno, forse non su una gerarchia rigida.
Il passaggio all’unità patriarcale: con lo sviluppo dell’agricoltura e delle società stanziali, la famiglia divenne un’unità economica e sociale, governata dal padre come figura autoritaria. Qui troviamo le prime tracce di quella "Famiglia con la F maiuscola" che diventerà strumento ideologico.
2. Il cristianesimo e la sacralizzazione della famiglia
Con il cristianesimo, la famiglia acquisisce una dimensione sacra, diventando un pilastro del sistema sociale e spirituale.
Il modello della Sacra Famiglia: La tal Maria, il tal Giuseppe e il tal Giosuè sono presentati come un archetipo. Ma questo modello è un’astrazione che cela le tensioni e le contraddizioni del vivere umano.
Il matrimonio come controllo: l’unione matrimoniale viene trasformata in sacramento, un legame indissolubile che lega l’individuo non solo al coniuge, ma alla comunità e alla Chiesa.
La donna come custode del focolare: la cristianizzazione della famiglia sancisce la subordinazione della donna, relegandola al ruolo di custode morale e spirituale della casa.
3. La famiglia come strumento di potere
Nelle società moderne, la famiglia non è più solo un’istituzione religiosa, ma un’unità economica e politica.
Il modello borghese: con la rivoluzione industriale, la famiglia si trasforma in un’unità di consumo, funzionale al capitalismo. Il suo scopo non è più la sopravvivenza collettiva, ma il mantenimento di un sistema di produzione.
Il dividi et impera domestico: la famiglia diventa uno spazio di controllo, dove i ruoli di genere e le gerarchie interne riproducono quelle della società più ampia.
4. La famiglia come "fossa dell’essere"
La famiglia, idealizzata e sacralizzata, diventa una prigione che soffoca l’individuo.
L’imposizione di identità: la famiglia plasma l’identità del singolo, imponendo valori, credenze e aspettative che possono essere in contrasto con la sua essenza viscerale.
Il rifiuto della libertà: nella famiglia tradizionale, l’individuo non è libero di essere, ma deve conformarsi a un ruolo predeterminato.
V. Gli inganni della narrazione: Dal mito al controllo
1. I culti del sole e l’invenzione del sacro
Esploreremo ora come le narrazioni originarie – i miti solari, i cicli di vita e morte – siano state distorte per creare sistemi di potere.
Il sole come simbolo universale: dai Veda indiani al culto di Ra in Egitto, il sole rappresenta il ciclo eterno della vita. Ma nella tradizione occidentale, il sole viene separato dalla terra, trasformato in simbolo di un ordine superiore.
Cristianesimo e Mithraismo: la figura del Cristo come "Luce del Mondo" è un’eredità diretta del culto del Sole Invitto. Ma mentre il culto del sole celebrava la continuità, il cristianesimo propone una rottura: la redenzione come evento unico e irripetibile.
2. L’illusione del progresso
Dalla narrazione religiosa alla filosofia moderna, la promessa del progresso è stata usata per giustificare ogni forma di dominio.
La distruzione del presente: l’uomo è spinto a sacrificare il presente in nome di un futuro migliore, perdendo il contatto con il qui e ora.
Il progresso come arma ideologica: come la religione prometteva il paradiso, così la modernità promette il progresso infinito, creando una nuova forma di schiavitù.
Conclusione provvisoria: Verso l’oltre uomo
Non stiamo costruendo un semplice discorso critico, ma un’opera che invita alla distruzione delle maschere, delle illusioni, delle narrazioni che hanno incatenato l’essere umano. L’oltre uomo non è un ideale astratto, ma un ritorno alla materia, al sentire viscerale.
VI. La rovina del pensare: Platone e l’ombra dell’iperuranio
1. L’iperuranio e il tradimento della materia
La filosofia occidentale, nel suo tentativo di ordinare il caos dell’esistenza, ha posto le basi per una separazione devastante: quella tra il mondo delle idee e quello della materia. Al centro di questo tradimento si erge Platone, colui che ha fissato il pensare come gravame e come illusione di superiorità.
L’iperuranio come esilio: l’idea di un mondo ideale, perfetto e immutabile, ha condannato l’uomo a vivere in un perenne stato di mancanza, a considerare la realtà terrena come un’ombra imperfetta.
La negazione del divenire: Platone eleva l’essere sopra il divenire, ma in questo fa violenza alla natura stessa dell’esistenza, che è fluida, mutevole, viscerale.
La prima "fuga verso l’alto": con Platone, la mente si separa dal corpo, il pensiero si arroga il diritto di dominare il sentire. Questo è l’inizio del dualismo che infetta il pensiero occidentale.
2. La filosofia come maschera del potere
Platone non è solo un filosofo, ma un architetto di sistemi di controllo.
La Repubblica come manifesto del dominio: l’idea di una società perfettamente ordinata, governata dai "sapienti", è il primo schema utopico che giustifica la subordinazione delle masse a un’élite.
Il mito della caverna: una narrazione potente, ma subdolamente paternalistica, che presuppone l’esistenza di una verità superiore accessibile solo a pochi.
3. Contro la tirannia degli universali
Gli universali platonici – l’idea di giustizia, bellezza, bontà – sono strumenti che immobilizzano il pensiero.
L’inganno della perfezione: la ricerca di un ideale universale porta a ignorare la complessità, la particolarità, l’unicità del reale.
L’oppressione del linguaggio: gli universali impongono un vocabolario rigido, che intrappola l’essere in categorie statiche e limita l’espressione autentica.
VII. La dissoluzione della verità: il cristianesimo e l’invenzione della fede
1. La fede come strumento di controllo
Con il cristianesimo, la verità non è più il risultato di un percorso di ricerca, ma un dogma rivelato, imposto dall’alto.
La sostituzione del sapere con il credere: la cosiddetta fede cristiana, nella sua essenza, è una rinuncia al sapere, un atto di abdicazione all’autorità divina e, per estensione, a quella umana che si arroga il diritto di interpretare il divino.
Il concetto di peccato: un’invenzione che lega l’uomo a una colpa originaria, giustificando il bisogno di redenzione e il potere della Chiesa come mediatrice.
2. La figura del Cristo come mito solare
La narrazione cristiana è profondamente radicata nei culti solari e nelle tradizioni precristiane, ma ne sovverte il significato.
Il Cristo come "Sole di Giustizia": questa metafora, derivata dai culti solari, trasforma l’energia vitale e ciclica del sole in un simbolo di redenzione trascendente.
La morte e resurrezione come evento unico: dove i culti antichi celebravano il ciclo eterno della vita, il cristianesimo propone una rottura: un solo sacrificio, una sola resurrezione, un’unica verità.
3. L’imposizione della famiglia "sacra"
La famiglia cristiana, modellata sull’idea della Sacra Famiglia, diventa il microcosmo attraverso cui si esercita il controllo sociale.
Il patriarcato come ordine divino: l’autorità maschile è giustificata teologicamente, perpetuando una gerarchia che esclude e opprime.
La donna come veicolo del peccato: Da Eva a Maria Maddalena, la figura femminile è costantemente associata alla colpa, alla tentazione, alla necessità di redenzione.
VIII. Verso la dissoluzione: distruggere per essere
1. Abbandonare il pensiero come gabbia
Se il pensare è il gravame che ci separa dall’essenza, allora è necessario abbandonarlo, o perlomeno ridefinirlo.
Il sentire viscerale come guida: non è il pensiero, ma il sentire profondo, corporeo, che ci connette alla realtà.
La dissoluzione dell’io: l’io, come costruzione mentale, è un’illusione. Per essere, bisogna distruggere l’io, dissolverlo nel tutto. Dissolverlo del tutto.
2. Ritornare alla materia
La materia non è un ostacolo, ma l’essenza stessa dell’esistenza. Ritornare alla materia significa abbracciare la realtà nella sua totalità, senza separazioni, senza illusioni.
Il corpo come tempio: non un luogo di peccato, ma la manifestazione più pura dell’essere.
L’eternità nel presente: non c’è un aldilà, un iperuranio, un paradiso: c’è solo l’adesso, eterno e mutevole.
IX. Conclusione: La danza dell’oltre uomo
Questo viaggio non ha una fine, perché l’oltre uomo non è un punto di arrivo, ma un movimento continuo. È una danza che si muove tra luce e ombra, tra distruzione e creazione, tra la morte delle illusioni e la nascita di nuove possibilità.
X. L’ipocrisia come fondamento delle civiltà: l’inganno necessario?
1. L’ipocrisia come architettura del potere
L’ipocrisia non è solo un errore umano, ma un meccanismo strutturale che tiene insieme le società. Platone, Paolo di Tarso, e gli architetti delle religioni e delle ideologie non sono immuni da questa dinamica; anzi, la incarnano.
L’ipocrisia ontologica: la civiltà si erge sulla menzogna che l’uomo qualcosa di "migliore", capace di trascendere la sua biologia e le sue pulsioni.
Il paradosso del dominio morale: i sistemi di potere giustificano il controllo con il pretesto di un bene superiore, ma tale bene è sempre costruito sull’oppressione. L’ipocrisia diventa così lo strumento per mascherare il dominio.
2. Cristianesimo: l’ipocrisia come virtù
Nel cristianesimo, l’ipocrisia non è solo tollerata: è spesso sublimata in virtù.
L’umiltà come maschera del potere: la retorica dell’umiltà cristiana serve spesso a giustificare il controllo delle gerarchie ecclesiastiche, che si proclamano servitori per meglio dominare.
L’amore universale come arma: la promessa dell’amore incondizionato di Dio si traduce in un sistema che esige obbedienza assoluta, pena l’esclusione o la dannazione eterna.
La creazione più "eccelsa" è quella di un dio buono.
Il sacrificio come imposizione: la croce, simbolo di redenzione, è anche un monito: chi non si sacrifica è colpevole. Un’ipocrisia che trasforma la libertà in un vincolo.
Il simbolo "eccelso" di morte, angoscia, tortura, squallore, orrore.
3. La famiglia come microcosmo dell’inganno
L’ipocrisia si radica nelle relazioni più intime, quelle familiari.
La famiglia come teatro: i ruoli imposti dalla tradizione (il padre autoritario, la madre devota, i figli obbedienti) creano una rappresentazione che spesso nasconde conflitti profondi e pulsioni negate.
La sacralità del focolare: un mito che giustifica il controllo delle emozioni, il sacrificio dell’individuo al collettivo, e la repressione delle diversità.
L’educazione come addomesticamento: i bambini non sono educati a essere, ma a conformarsi, a recitare una parte che li allontana dalla loro essenza. Quando si dimostrano, vengono puniti. È istruzione. Istruiti diseducati. Forbiti maleducati.
XI. La deformazione del pensare: dualismi e finzioni
1. Bene e male: il dualismo che divide
«I concetti di bene e di male sono tra le più grandi invenzioni ipocrite della storia, semplificazioni che tradiscono la complessità del reale!».
La moralità come arma politica: la distinzione tra bene e male è usata per giustificare guerre, persecuzioni, e discriminazioni.
«Basti leggere il Manual Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali!».
La natura amorale del cosmo: l’universo non conosce bene né male; questi sono costrutti umani, utili forse, ma intrinsecamente limitanti.
Il ritorno al fluire naturale: superare il dualismo significa accettare che ogni cosa è in costante trasformazione, né buona né cattiva, ma semplicemente esistente.
2. Corpo e anima: una separazione insostenibile
La dicotomia tra corpo e anima è un’altra finzione che ha deformato il pensiero occidentale.
L’anima come strumento di controllo: l’idea che esista qualcosa di eterno e immutabile nell’uomo è usata per giustificare la subordinazione del corpo e delle sue esigenze.
La realtà unitaria dell’essere: non c’è separazione: corpo e mente, materia ed energia, sono manifestazioni di un’unica sostanza.
La liberazione dal dualismo: per essere pienamente vivi, dobbiamo abbracciare questa unità, rompendo con le narrazioni che ci dividono in parti contrapposte.
XII. Il ciclo dei culti: dal sole ai simulacri
1. I culti solari e la ciclicità perduta
Prima che le religioni monoteiste si imponessero (e prima della loro creazione), il culto del sole e delle forze naturali celebrava il ciclo eterno della vita.
La ciclicità come verità originaria: i culti solari riconoscevano che nascita, morte e rinascita non sono eventi lineari, ma parte di un movimento perpetuo.
L’appropriazione cristiana: il cristianesimo ha trasformato questa ciclicità in una narrazione lineare: creazione, peccato, redenzione, fine dei tempi. Un tradimento dell’essenza ciclica dell’esistenza.
2. Il monoteismo come frattura
L’affermazione del monoteismo ha segnato una rottura radicale con le tradizioni antiche.
L’unicità contro la pluralità: un solo Dio, un solo messaggio, un solo cammino. Questo ha distrutto la diversità dei punti di vista, imponendo un ordine uniforme e oppressivo.
Il ritorno al politeismo interiore: riconoscere la molteplicità dentro di noi è un atto di resistenza contro l’omologazione. Ogni individuo è un universo di contrasti e possibilità.
XIII. La morte dell’uomo e la nascita dell’essenza
1. Morire alle illusioni
Per andare oltre l’uomo, dobbiamo prima accettare la morte delle sue illusioni: religiose, filosofiche, morali.
La distruzione del sé: non si tratta di negare l’individuo, ma di dissolvere le sue maschere, i suoi costrutti, le sue menzogne.
L’essere come divenire: la vita non è un’essenza da preservare, ma un flusso da vivere.
2. La materia come verità ultima
Tutto ciò che esiste è materia. Accettarlo non è riduttivo, ma liberatorio.
Questo non nega "livelli", "realtà", "possibilità". Li ingloba.
Il corpo come centro dell’esperienza: riconoscere il corpo come fonte di conoscenza e piacere è un atto rivoluzionario.
La morte come trasformazione: non un evento da temere, ma una tappa del ciclo eterno.
XIV. Conclusione: Verso l’abisso creativo
Non c’è punto finale, solo un invito a continuare. L’oltre uomo è una chiamata, non una destinazione. Ora il terreno è pronto per nuovi capitoli, per nuove ombre e luci, per il prossimo passo nella danza. Ci lasciamo guidare. E guidiamo.
«L'Uomo liquido, l'Uomo morto, han bisogno di un culto! È essere radicato nella cultualità. Ecco: il "riferirsi a" è cosa innervata nel misero frammento di carbonio. Il legame è un cappio strettissimo, che è passato dal mondo, con il cielo, la terra, il fuoco, ai Signori della guerra e degli ordini cosmici, al denaro che ha prodotto la nuova divinità oltre scambi e mercato, moneta e testimone a garanzia. Schiavi! Dipendenti! L'uomo è morto! E resta morto! Si nutre di astrazioni, artefatti, produzioni, inganni, menzogne, perché non può farne a meno. È menzogna ontologica. Si ciba del vero del falso, credendo!».
Suggelliamo l'accusa.
Menzogna ontologica: l'essenza stessa dell'essere umano è un perpetuo tradimento della realtà, un costruire incessante di simulacri per sostenere la propria esistenza.
L'uomo, descritto come morto liquido, è ontologicamente intrappolato in un ciclo di dipendenze, simboli e cultualità. Enfatizziamo una condizione di morte simbolica, dove la fluidità non è più dinamismo ma dissoluzione della sostanza. L’uomo, pur mosso da un impulso al legame, si ritrova in un vincolo che si stringe attorno a sé come un cappio, da cui non può liberarsi senza annientarsi.
Il culto come necessità ontologica
La menzogna ontologica dell’uomo emerge nella sua incapacità di sostenere la nuda realtà: egli costruisce culti, prima legati agli elementi (cielo, terra, fuoco) e poi trasposti in divinità simboliche come il denaro. Questa necessità può essere interpretata attraverso le lenti del tal Nietzsche, che descrive l’uomo come creatore di valori e significati, per sottrarsi al nichilismo. Tuttavia, questo "riferirsi a" non rappresenta una vittoria ma una condanna: l'uomo è incapace di vivere senza un padrone, sia esso Dio, il mercato o la produzione.
Neuroscienze e dipendenza dal simbolico
Le neuroscienze contemporanee forniscono ulteriori spunti su questa condizione. La dipendenza umana da simboli e astrazioni è radicata nei circuiti neurali del default mode network (DMN), un sistema cerebrale che si attiva nei momenti di inattività e che costruisce continuamente narrazioni interne per dare senso al sé e al mondo. Questo meccanismo, evolutivamente utile, diventa patologico quando le narrazioni non riflettono più la realtà ma creano dipendenze verso artefatti e costruzioni illusorie.
Il denaro come nuova divinità
La nostra trasfigurazione del denaro in culto richiama l’analisi del tal Marx sul feticismo della merce, dove il valore delle cose non risiede nella loro utilità reale ma in un significato simbolico attribuito socialmente. Il tal Walter Benjamin, vedeva il capitalismo stesso come un sistema cultuale senza redenzione, in cui il denaro diventa il mediatore universale, sostituendo ogni legame umano con relazioni di scambio e mercato.
Menzogna e astrazione: un destino inevitabile?
Della definizione di menzogna ontologica. La questione diventa se tale menzogna sia una degenerazione storica o una condizione fondamentale. Il tal Heidegger, sottolinea come l’uomo sia gettato nel mondo, costretto a interpretare la propria esistenza in un contesto già carico di significati pre-costituiti. Questa interpretazione sembra inevitabile, ma la riduzione dell’uomo a mero "prodotto" di tali significati rappresenta una condizione di morte ontologica.
L’uomo come moto inerte
La nostra descrizione dell’uomo come moto privo di vita richiama anche la fisica classica: il movimento senza un fine interno è pura inerzia, un corpo trascinato da forze esterne. Qui l’uomo è ridotto a un soggetto passivo, incapace di auto-generarsi, nutrito da astrazioni e menzogne come il carburante di una macchina che non conosce la propria direzione.
Alla cosiddetta morte delle divinità, il potere del denaro ha preso il loro posto, instaurando un dominio freddo e spietato che si insinua in ogni relazione umana. Non più mediato da sacralità o miti trascendenti, il controllo si esercita attraverso l’economia come struttura immanente, capace di vincolare senza più il bisogno di giustificazioni metafisiche. Il denaro diventa la misura di tutte le cose, il nuovo Deus absconditus che regola l’esistenza senza mai mostrarsi come volto, ma solo come cifra.
Il denaro come sostituto divino
Un tale anticipò un’epoca in cui i valori trascendenti sarebbero stati sostituiti da nuovi idoli. Eureka! Il denaro, con la sua natura astratta, si configura come il feticcio perfetto: non ha forma specifica, ma determina ogni forma; non ha contenuto, ma definisce il contenuto di ogni cosa.
Il denaro è una divinità senza tempo, che non promette salvezza ma perpetua solo il ciclo del debito e del consumo, senza tregua né redenzione. Walter Benjamin, Capitalismo come religione