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TACCUINO #61


Appunto iniziale


Definire è certezza. Non possiamo definire cosa siamo, e così non possiamo avere alcuna certezza. Eppure definiamo, eppure sentenziamo, condanniamo, per assoluta certezza, indubitabilmente. Questa non è follia? La follia ci abita? È follia, esercitata follia? È il caos a abitare l'uomo? Questa è mediocrità, è pochezza, è debolezza, è incapacità, è inettitudine. Non esprimiamo cosa siamo, esprimiamo il nostro pensiero pensato. E partecipiamo del crear danno sui traumi che scegliamo di infliggere. Il nodo fondamentale è sempre non caricarsi di responsabilità per scelte fatte. Carnefici, complici di carnefici, criminali primi, funzionari di stato, ne sono esempi che deboleggiano in errore dei propri giuramenti e ragionamenti per lapalissiana memoria storica. Il tale che non ha alcun dio può respirare a pieni polmoni libero da opprimenti oppressori, opprimenti logiche, schiaccianti pensieri pensati. Siamo scarti, inutilità di pensiero, minuti frammenti di meteoroide, crusca. L’errore umano si compie nella costruzione di un Dio, coerentemente con l’errore che siamo, partecipanti dell’unica meraviglia che non apprezziamo: la morte della vita (che dovrebbe far tutto apprezzare), l’esistenza di centinaia di migliaia di vite passate, distrutte, dimenticate, sopravvissute, congelate nei tempi andati. L’uomo liquido non è l’uomo oltre: non può, o non vuole poter esserlo.


1. L’Errore del Definire

Riprendendo il nostro scrivere, ci esortiam a rinnovato rigore. Ogni definizione è una violenza concettuale. Quando ci arroghiamo il diritto di definire – noi stessi, gli altri, il mondo – imponiamo una forma arbitraria su ciò che sfugge per sua natura al controllo. La definizione è uno strumento di potere, un atto di semplificazione che taglia e mutila, rendendo il complesso accettabile per menti deboli. Ma cosa si cela dietro questa ossessione? La paura. Paura di ciò che non può essere circoscritto, paura del caos che ci abita e che ci sovrasta.


Nella costruzione di un Dio, l’uomo non cerca il divino, ma il riflesso rassicurante della propria logica. Dio diventa un’ancora, una proiezione del nostro bisogno di ordine e significato. Non c’è autentica trascendenza in questa costruzione, solo un errore reiterato, un monumento alla nostra incapacità di abbracciare l’infinito come privo di scopo.


2. La Follia che Ci Abita

La follia non è un accidente. Non è un malfunzionamento del pensiero, ma il suo stato naturale. Il pensiero razionale, lineare, è un'illusione evolutiva, un sottile strato che copre la profondità abissale dell’irrazionale. Questa follia, tuttavia, non è da temere, bensì da accettare. Solo riconoscendola possiamo sperare di liberarci dalle catene di un pensiero che si crede autonomo ma che non è altro che un eco sterile di se stesso.


La follia umana si manifesta nella violenza – non solo quella fisica, ma anche quella sottile, sistematica, del giudizio debole, della struttura sociale, dello schiavizzante. Una violenza deliberata e gratuita, nata da cellule non ben formate, da un’umanità che non può evolvere oltre limiti biologici e morali.


3. L’Invidia: L’Abisso dell’Umano

L’invidia è il più basso dei sentimenti, il veleno che corrode dall’interno ogni aspirazione verso l’oltre. Non è semplicemente un desiderio dell’altrui possesso, ma un odio viscerale verso chi, pur nella sua imperfezione, sembra aver trovato una via per superare l’angustia dell’esistere. L’invidia è cieca, sterile, incapace di creare.


L’invidioso non vive: si consuma nella contemplazione dell’altrui esistenza. È un parassita, una crosta che si nutre delle energie altrui, incapace di produrre alcunché. Chi invidia non desidera elevarsi: desidera solo abbassare l’altro. È qui che l’invidia rivela la sua natura: un’espressione dell’odio verso la vita stessa, verso la possibilità di essere altro rispetto al nulla che si abita.


4. La Violenza: Escremento della Specie

La violenza gratuita, calcolata, pianificata, debole, deliberata, è il punto più basso dell’evoluzione umana. Non vi è nulla di necessario, nulla di giustificabile in un atto che cerca di distruggere per il puro gusto della distruzione. Ecco il ghigno. La violenza è l’espressione più chiara di una volontà spezzata, di un’umanità che non ha saputo trovare alternative al dominio e alla sopraffazione. Le nostre membra rimembrano. Le vostre?


Esistono violenze sottili, insidiose, che passano inosservate? L’ipocrisia sociale, la perpetuazione di sistemi che generano ingiustizie sistemiche. Questi sono i frutti marci di una specie che si rifiuta di affrontare la propria follia e il proprio errore.


5. L’Uomo Liquido e l'Uomo Solido

L’uomo liquido del nostro tempo non è che un riflesso sfocato dell’umanità che avrebbe potuto essere. Si dissolve nella superficialità, nella estrema e sempre più spinta nuova più veloce velocità, nell’incapacità di sostare nell’abisso del pensiero. Non ha direzione, non ha scopo, e soprattutto non ha il coraggio di affrontare la propria finitezza.


L’Uomo solido non è un traguardo da raggiungere, ma un potenziale che si manifesta solo nel momento in cui accettiamo la nostra imperfezione come una forza, non come una debolezza. È colui che non cerca definizioni, ma abbraccia il caos; non costruisce Dei, ma celebra la morte come parte integrante della vita; non condanna, ma comprende.


Conclusione

Siamo frammenti, scarti di pensiero e materia, meteoroidi che attraversano il vuoto. Ma in questo scarto, in questa imperfezione, risiede la possibilità di qualcosa di diverso: non la perfezione, ma un’esistenza che non fugge più dalla propria follia.


Se vogliamo davvero andare oltre, dobbiamo imparare a vedere quell’uomo per ciò che è: una somma di errori, di pulsioni malformate, di violenze gratuite e ingiustizie perpetuate. Solo allora potremo distruggere ciò che disprezziamo, non con odio, ma con l’acribia di chi desidera andare oltre il proprio stato attuale.


La morte non è nemica: è maestra. Solo accettandola possiamo abbracciare la vita per ciò che è, senza definizioni, senza certezze, senza illusioni. Solo allora, forse, saremo davvero pronti a essere altro.

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